I Corridoi Umanitari fanno scuola in Europa

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I Corridoi Umanitari fanno scuola in Europa

La Diaconia valdese è capofila con altri sette partner europei di un progetto per l’accoglienza di 450 persone.

Diffondere a livello europeo la buona pratica dei Corridoi Umanitari: questo l’intento del progetto Private Sponsorship for Integration finanziato dal fondo europeo Amif (Asylum, Migration and Integration Fund), approvato nel 2018 e diventato operativo da gennaio. Il progetto, che si concluderà nel dicembre 2020, porterà in Europa, divisi fra Italia e Francia, 450 persone, comprese nelle 2000 (1000 per  il 2016/17 e 1000 per il 2018/19) previste dal protocollo sui corridoi umanitari sottoscritto da Tavola valdese, Federazione delle chiese evangeliche e Comunità di Sant’Egidio con i Ministeri dell’Interno e degli Esteri. «Si tratta di un progetto di supporto per il miglioramento, l’implementazione e la loro diffusione in altri stati europei e riguarda attività complementari e supplementari a quelle già previste per i corridoi», spiega Loretta Malan, responsabile di Servizi Inclusione della Diaconia valdese.

Questo perché, aggiunge Miriam Mourglia, project manager del progetto, quella dei corridoi è «una modalità ormai riconosciuta, anche dall’Unione europea, come una delle possibilità per gestire i flussi migratori in modo sicuro per chi parte ma anche per chi accoglie».

Che cosa significa questo, lo spiega ancora Malan: «Si tratta di una modalità sicura innanzitutto per le persone, che non devono affidarsi ai trafficanti, ma anche per gli Stati riceventi. Anche se i canali clandestini non vengono utilizzati per l’ingresso di malviventi e terroristi, gli Stati riceventi sono tutelati da un controllo della documentazione e delle caratteristiche necessarie per accedere al programma da entrambe le ambasciate: del paese di partenza, che in questo caso è il Libano perché non possiamo operare direttamente in Siria, e del paese di arrivo». L’ambasciata utilizza anche i pareri di Unhcr, che interviene per l’esame delle domande, e quando ci sono dei dubbi, continua Malan, «è l’ambasciata stessa a non rilasciare i visti. È successo anche che il ministero degli Interni italiano abbia rifiutato il visto a persone che lo avevano già ottenuto in Libano».

Ma quali sono i partner del progetto Amif? Innanzitutto, spiega Miriam Mourglia, quelli già impegnati nei corridoi umanitari: Diaconia valdese, Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e Fédération d’Entraide Protestante (Fep), quest’ultima coinvolta in tutte e tre le fasi operative (pre-partenza, pre-arrivo e post-arrivo). Nella fase dell’accoglienza post-arrivo, insieme alla Diaconia è coinvolta Oxfam Italia. Dal punto di vista della comunicazione e dell’advocacy, i partner coinvolti sono Regione Piemonte ed Eurodiaconia.

Il progetto include altre due parti: una, con i partner di ricerca Confronti e Idos, prevede la pubblicazione di una valutazione (assessment) a livello italiano e francese sulla buona pratica dei corridoi. Sulle evidenze rilevate in tale fase si basa la terza parte del progetto, in capo al partner inglese Safe passage, che intende fornire dei moduli di formazione rivolti a équipe presenti in vari paesi europei, tra cui la Grecia.

La fase di assessment si svolge attraverso questionari e interviste a beneficiari e operatori sociali, per capire che cosa funziona e che cosa è da migliorare. In questo contesto sono già stati svolti degli incontri, il primo a Torino il 20 luglio sulla controradicalizzazione, con gli operatori dei corridoi umanitari, di Confronti e Idos, e personalità pubbliche. Questo è un importante momento, che si aggiunge a quelli effettuati prima della partenza, di raccolta dati e di sensibilizzazione, elementi fondamentali, sottolinea Malan: «Molti arrivano senza le informazioni necessarie e con aspettative distorte rispetto alla situazione che troveranno», senza rendersi conto che arrivando in Italia non potranno proseguire verso altri paesi europei, come vuol fare la maggior parte di loro. Per questo un lavoro di informativa prima della partenza è importantissimo, e allo stesso tempo dà agli operatori la possibilità di effettuare una raccolta dati «che altrimenti non sarebbe possibile, perché richiede molto tempo ed energie; dopo quattro anni di sperimentazione, ci consente di avere dei dati su cui ragionare, per capire quali sono i margini di miglioramento, gli obiettivi raggiunti, le criticità, se e come continuare su questa strada». E Malan conclude: «I corridoi umanitari sono una modalità di gestione dei flussi migratori, ma non l’unica, basti pensare ai visti rilasciati per motivi di lavoro, rispetto ai quali l’Italia è il fanalino di coda in Europa, addirittura dietro all’Ungheria…».

Fonte: Riforma.it
Autore: Sara Tourn