
Parlare come diaconia, parlare come chiesa
Nuova dichiarazione della Commissione Sinodale per la Diaconia
In questi anni penosi, in cui arrivano drammatiche notizie che ci toccano come cittadini e cittadine, come cristiani e cristiane, molte persone che operano nella diaconia hanno espresso con diverse modalità alla Commissione l’insofferenza per quello che sta accadendo, chiedendo alla Diaconia di prendere posizione su alcune questioni di rilievo nazionale e internazionale.
La Diaconia Valdese è parte della Chiesa Valdese (Unione delle Chiese metodiste e valdesi) con compiti ben specificati. La Commissione Sinodale per la Diaconia, che gestisce la Diaconia Valdese CSD, è annualmente eletta dal Sinodo a cui risponde del proprio operato. Se, per il mandato assegnato, la Diaconia ha la facoltà di esprimersi sui “suoi” temi, che vanno dalle questioni sociali, alle disuguaglianze, alle migrazioni, ai minori e giovani, anziani, disabili, carceri, ecc. e, quando lo fa, lo fa con la responsabilità di parlare, per questi temi specifici, a nome del mondo ecclesiastico nel suo complesso, non si pronuncia, invece, su temi più ampi (per esempio i temi di bioetica o, in questo periodo, gli aspetti politici dei conflitti o gli armamenti) in quanto sono argomenti che interrogano tutta la chiesa e non sono di competenza esclusiva della Diaconia. Lo può fare e lo ha fatto solo riprendendo le posizioni espresse dalla chiesa nel suo complesso.
Pur sapendo che le nostre azioni, singole o collettive, non avranno la forza di incidere in modo decisivo, sentiamo la necessità di assumere la responsabilità di quello che facciamo. Avendo tuttavia ben chiara la differenza sostanziale fra la responsabilità individuale e quella di una comunità. Se per le scelte individuali ognuno fa i conti con le proprie convinzioni, la propria consapevolezza e coscienza, le scelte collettive esigono percorsi più articolati, attraverso la comunicazione e il confronto, per giungere ad una posizione condivisa.
C’è, tuttavia, una chiara posizione “diaconale” di fronte ai conflitti o ad altri temi che riguardano i rapporti fra le persone, cioè, stare sempre dalla parte delle vittime e dei deboli e non dalla parte dei potenti e dei violenti: le vittime della guerra, siano esse civili o soldati, da qualunque parte siano collocate dalla geografia; chi riceve bombe dal cielo; chi non ha da mangiare; chi non ha cure. "Imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l'oppresso, fate giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova!" (Isaia 1.17). Su questo non c’è nessun dubbio e nessun limite di mandato. Non è una forma di neutralismo.
Chiarita la cornice non ci si può che rallegrare che colleghi e colleghe vedano nella Diaconia, l’ente dove lavorano, un interlocutore e un portavoce di istanze civiche e solidali. Dichiariamo spesso che gli operatori e le operatrici quando agiscono nei servizi diaconali sono “il volto” della chiesa e, pertanto, siamo riconoscenti del fatto che chiedano che la Diaconia, parte della chiesa, si faccia carico delle loro opinioni, pareri e posizioni. È un dialogo aperto e importante: non siamo un’impresa commerciale, non una cooperativa, non siamo una ONG, non siamo un’associazione o un partito, siamo una chiesa. Per questo, siamo impegnati a trovare modalità e percorsi che consentano scambi, crescita, riconoscimento.
Torre Pellice, 12 agosto 2025