Torino Tashukkur!
Giornata comunitaria in chiesa in occasione della Domenica della Diaconia
La Domenica della Diaconia, in occasione della quale le chiese metodiste e valdesi raccolgono le loro collette a favore delle attività della Diaconia Valdese - CSD, è stata quest'anno a Torino un'importante occasione di riflessione e confronto sul lavoro sociale di accompagnamento a persone vulnerabili, in particolare nelle zone di confine di Trieste, Ventimiglia e Oulx, dove la Diaconia Valdese fornisce supporto socio-legale, informazione e mediazione culturale a migliaia di migranti in trasito ogni anno. Attraverso testimonianze dirette di operatori, volontari e persone migranti, si è messa in luce la realtà di chi attraversa le frontiere in cerca di un futuro migliore, affrontando enormi difficoltà burocratiche, violenze e discriminazioni. La giornata ha portato anche un esempio tangibile del valore della solidarietà e del supporto concreto, come quello offerto dalle famiglie migranti accolte dalla CSD, che hanno preparato un pranzo comunitario, simbolo di integrazione e di condivisione. Le storie raccontate hanno sottolineato l'importanza di un accompagnamento umano e professionale per garantire a chi è in difficoltà la possibilità di ricostruirsi una vita dignitosa, dove sentono di avere maggiori opportunità.
Di seguito il racconto della giornata a firma di Claudia Cardon, pubblicato sul numero del 13 dicembre 2024 di Riforma.
La domenica della Diaconia (1° dicembre) si apre a Torino con il culto presieduto dal pastore Sciotto grazie al quale riflettiamo su quali voci trovino spazio nel tempo dell’Avvento secondo Luca: non parlano i potenti o i grandi sacerdoti, sono le persone comuni ad avere la parola. Attraverso la predicazione (Luca 2, 22-35) ci troviamo al fianco di Giuseppe e Maria che portano il piccolo Gesù al tempio e offrono due colombe, non una vacca, o una capra, prerogativa di persone di altra estrazione.
Con un salto ai giorni nostri, Sciotto traccia un parallelo tra le due colombe di allora e la cifra che le persone migranti accolte dalla CSD donano ogni anno proprio alla CSD, quale testimonianza di chi ci tiene a essere partecipe di un progetto in cui crede, con le proprie due colombe che però, sommate alle altre, corrispondono a una cospicua espressione di gratitudine. La domanda a noi non viene rivolta, ma siamo in grado di contribuire con le nostre due colombe?
La giornata prosegue con un’agape interamente preparata e servita da due famiglie di origine afghana arrivate in Italia tra il 2021 e il 2022 grazie ai corridoi umanitari e accolte dalla CSD: i profumi dei piatti sono a un tempo familiari ed esotici in una versione di riso e pollo dall’aroma lontano, eppure così prossimo.
Dopo il pasto comunitario, alcuni interventi sottolineano l’importanza del servizio della Diaconia alle frontiere: Silvia Chicco, operatrice socio-legale al rifugio «Fraternità Massi» di Oulx, illustra il faticoso e demoralizzante percorso che affrontano le persone alla frontiera tra due paesi che, a dispetto degli accordi di Schengen, ergono muri e lasciano di fatto scivolare i migranti lungo un iter amministrativo-burocratico dal quale difficilmente possono risalire senza un puntuale e attendibile supporto. Così come si incespica e cade nella neve, così si fatica a muoversi tra pile di documenti stampati.
Parliamo di persone che sono in viaggio da anni, hanno subito violenze, detenzione arbitraria, torture, sono state private dei loro (pochi) averi. Testimonianze riportano comportamenti violenti da parte della polizia lungo la rotta balcanica, «almeno per ora» sospira Chicco, «non abbiamo notizie di simili atteggiamenti da parte della polizia francese». Ma le persone vivono con comprensibile angoscia l’ipotesi di un incontro con le forze dell’ordine.
Talvolta hanno oltre frontiera un unico e insicuro aggancio: per molte donne sole il rischio di essere vittime di tratta è elevatissimo.
E se in montagna c’è la neve a ostacolare le persone, a Ventimiglia è sorta una tendopoli lungo il fiume Roja, che si rende pericoloso in occasione delle ondate di piena.
È toccante, in chiusura, l’appello di Mahdi, un giovane che questa mattina ha cucinato per noi, che ringrazia «le chiese e le persone gentili» che hanno permesso alla sua famiglia di stabilirsi in Italia, e che chiede «di fare tutto il possibile perché almeno le donne, le ragazze afghane possano usufruire di nuovi corridoi umanitari per lasciare il paese in sicurezza». È la voce di una persona comune che udiamo, non quella dei potenti. Sento in testa l’eco dell’inno 335 cantato stamattina: «chi all’altrui strazio nel cuor suo non freme / al suo Maestro più non è fedel».
Prima di andare via, ci intrufoliamo in cucina per ringraziare le tre generazioni che hanno preparato il pasto per noi, tashukkur si dice. I più giovani comunicano agilmente in italiano, ma la nonna fa fatica, con lei ci stringiamo in un lungo abbraccio che, se mai avessimo avuto bisogno di una conferma, funziona allo stesso modo a tutte le latitudini.
Claudia Cardon, chiesa valdese di Torino